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PAROLA DEL SIGNORE
Il commento della IV Domenica del Tempo Ordinario - Presentazione del Signore - è di Padre Ermes Ronchi
Questa prima domenica di febbraio 2020, quarta del tempo ordinario coincide con la solennità della Presentazione del Signore. Oggi, poi, si celebra anche la XXIV giornata per la vita consacrata. Due motivi, quindi, per riflettere, pregare, trasmettere la parola di Dio e sollecitare una risposta vocazionale a servizio della Chiesa negli istituiti maschili e femminili e nell'Ordo Virginum. A descriverci questo momento importantissimo della vita del Bambino Gesù è san Luca nel Vangelo di questa domenica che costituisce la base della nostra riflessione e il testo biblico di riferimento per capire questa festa, che si aggancia al Natale. La celebrazione eucaristica è, infatti, preceduta dalla benedizione delle candele e dalla processione. (commento di Padre Antonio Rungi)
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,22-40
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore,
come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore;
e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele;
lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore.
Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge,
lo prese tra le braccia e benedisse Dio:
«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione
perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima».
C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza,
era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret.
Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
IL COMMENTO DI PADRE ERMES RONCHI: "UN FIGLIO APPARTIENE A DIO, NON AI GENITORI". Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore. Una giovanissima coppia, col suo primo bambino, arriva portando la povera offerta dei poveri, due tortore, e il più prezioso dono del mondo: un bambino. Sulla soglia, due anziani in attesa, Simeone e Anna. Che attendevano, dice Luca, «perché le cose più importanti del mondo non vanno cercate, vanno attese» (Simone Weil). Perché quando il discepolo è pronto, il maestro arriva.
Non sono i sacerdoti ad accogliere il bambino, ma due laici, che non ricoprono nessun ruolo ufficiale, ma sono due innamorati di Dio, occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. E lei, Anna, è la terza profetessa del Nuovo Testamento, dopo Elisabetta e Maria. Perché Gesù non appartiene all'istituzione, non è dei sacerdoti, ma dell'umanità. È Dio che si incarna nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce. «È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, ai sognatori, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro e come vita» (M. Marcolini).
Simeone pronuncia una profezia di parole immense su Maria, tre parole che attraversano i secoli e raggiungono ciascuno di noi: il bambino è qui come caduta e risurrezione, come segno di contraddizione perché siano svelati i cuori. Caduta, è la prima parola. «Cristo, mia dolce rovina» canta padre Turoldo, che rovini non l'uomo ma le sue ombre, la vita insufficiente, la vita morente, il mio mondo di maschere e di bugie, che rovini la vita illusa. Segno di contraddizione, la seconda. Lui che contraddice le nostre vie con le sue vie, i nostri pensieri con i suoi pensieri, la falsa immagine che nutriamo di Dio con il volto inedito di un abbà dalle grandi braccia e dal cuore di luce, contraddizione di tutto ciò che contraddice l'amore.
Egli è qui per la risurrezione, è la terza parola: per lui nessuno è dato per perduto, nessuno finito per sempre, è possibile ricominciare ed essere nuovi. Sarà una mano che ti prende per mano, che ripeterà a ogni alba ciò che ha detto alla figlia di Giairo: talità kum, bambina alzati! Giovane vita, alzati, levati, sorgi, risplendi, riprendi la strada e la lotta. Tre parole che danno respiro alla vita.
Festa della presentazione. Il bambino Gesù è portato al tempio, davanti a Dio, perché non è semplicemente il figlio di Giuseppe e Maria: «i figli non sono nostri» (Kalil Gibran), appartengono a Dio, al mondo, al futuro, alla loro vocazione e ai loro sogni, sono la freschezza di una profezia “biologica”. A noi spetta salvare, come Simeone ed Anna, almeno lo stupore.
Il commento al Vangelo è di Padre Ermes Ronchi
- 31 Gennaio 2020
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